“All’Italia serve un Piano Energetico Nazionale che punti su efficienza e risparmio (riqualificazione energetica degli edifici pubblici), sull’autoproduzione diffusa con impianti rinnovabili, sulla modernizzazione dell’infrastruttura di rete.”
Questo in sintesi il pensiero di Giuseppe Civati, deputato e candidato alla guida del PD, che espone la sua posizione fra i temi della sua campagna, nella parte dedicata alle città possibili, poggiando su una premessa: l’ambiente come opportunità per un’economia capace di futuro, dove la grande transizione verso la sostenibilità prende forma dal basso. Tra i punti fondanti il raggiungimento dell’efficienza degli edifici e degli impianti, la riconversione del sistema elettrico, energia solare (i tetti italiani sono una centrale) ed eolica. Il testo.
“Il cambiamento climatico è ormai una realtà in atto ed è causato, come prova l’ultimo rapporto dell’Ipcc-Onu, principalmente dagli uomini. Diversi paesi europei hanno già definito strategie a medio termine per ridurre drasticamente le emissioni prodotte dal settore energetico. La Germania vuole uscire dal nucleare e contemporaneamente ridurre le emissioni dell’80-85% entro il 2050. La stessa Unione Europea ha predisposto un’agenda per la graduale decarbonizzazione. È necessario predisporre un piano straordinario nazionale per la ristrutturazione energetica e la messa in sicurezza degli edifici pubblici. Un piano straordinario di intervento su un terzo di questi edifici comporterebbe investimenti per 8 miliardi di euro e porterebbe a benefici diretti per 400 milioni di euro l’anno. Considerando una durata di vita utile degli interventi di circa 20 anni, il piano è sostanzialmente a costo zero. Un’azienda di servizi energetici (Esco, Energy Service Company) potrebbe intervenire progettando, finanziando e realizzando l’intervento, che sarebbe ripagato negli anni successivi grazie ai risparmi in bolletta generati in bolletta.
L’Italia ha bisogno di un piano energetico nazionale che ancora – incredibilmente – non c’è. La diversificazione delle fonti è per lo più associata a quella dei tipi di risorsa da utilizzare per produrre energia: petrolio, carbone (con cattura di Co2), altre risorse. L’energia più efficiente è quella non prodotta, perché non necessaria. La prima diversificazione delle fonti sta nell’efficienza degli edifici e degli impianti.
Infine una buona diversificazione non è tanto di cosa si utilizza per produrre energia, ma di dove l’energia è prodotta. Tutti i tetti degli edifici italiani, a partire da quelli industriali, sono una “centrale” che potrebbe produrre una quota significativa del fabbisogno nazionale, sotto forma di energia solare (termica e fotovoltaica) ed eolica (mini-eolica). Per non parlare dei siti dove è possibile, a basso impatto paesaggistico, acustico e faunistico, produrre energia eolica, la più efficiente nel rapporto con i costi d’impianto. Talvolta un’efficiente collocazione degli impianti di produzione prevede, invece di distribuire, di associare ed unificare i sistemi. È il caso della sostituzione degli impianti singoli con impianti condominiali e contabilizzazione dei consumi individuali o della cogenerazione e trigenerazione associata, a scala di quartiere urbano, al teleriscaldamento.
La sfida è la riconversione del sistema elettrico, ed è una sfida che il nostro paese sta già affrontando, anche se in modo non sempre ordinato. Il settore delle rinnovabili ha ottenuto risultati inimmaginabili fino a pochi anni fa: nuovi impianti, nuove tecnologie a costi sempre più bassi, nuove imprese e posti di lavoro. Si pensi solo che nel settore fotovoltaico gli obiettivi previsti per il 2020 sono già stati raggiunti nel corso del 2011 e nel corso del 2013 per almeno due volte la quantità di energia proveniente da fonti rinnovabili è stata – anche se solo per poche ore – sufficiente per soddisfare l’intero fabbisogno nazionale.
La riduzione dei costi può favorire la partecipazione dei singoli alla transizione energetica se supportati, non attraverso incentivi economici, ma più semplicemente attraverso una regolazione più adatta al nuovo contesto. Ad esempio, per favorire l’autoconsumo dell’elettricità prodotta localmente, dovrebbe essere consentito ai condomini di formare delle reti d’utenza efficienti e alimentate da fonti rinnovabili “collettive”. Tutte le abitazioni si collegherebbero a un unico impianto di generazione condominiale, dividendosi oneri (bolletta elettrica) e benefici, come del resto già accade per chi ha un impianto di riscaldamento condominiale.
Più in generale, sarebbe opportuno promuovere la cooperazione nella produzione e consumo capaci di rifornire direttamente i propri soci con energia elettrica proveniente dai propri impianti rinnovabili. Una tale politica attirerebbe capitali privati oggi esclusi dal mondo delle rinnovabili, capitali non in cerca di un semplice profitto economico ma di un approvvigionamento di energia a minore impatto ambientale.
Nel prossimo futuro le reti elettriche di trasmissione e distribuzione saranno in ogni caso profondamente diverse da quelle che si sono sviluppate finora. È quindi necessario predisporre da subito un piano complessivo di modernizzazione dell’infrastruttura di rete, attraverso un rafforzamento della spina dorsale del sistema elettrico per integrarla maggiormente nella rete continentale europea, e l’introduzione di infrastrutture attive di gestione dei flussi energetici.”