PFU, il contributo ambientale per il corretto smaltimento lo devono pagare anche i venditori di pneumatici ‘via web’. Lo ha stabilito il Ministero dell’Ambiente

Ecotyre
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Lo ha stabilito la risposta – giunta il 29 gennaio da parte del Sottosegretario Cirillo – a un’interrogazione parlamentare del Presidente della Commissione Ambiente della Camera On. Ermete Realacci, a sua volta sensibilizzato riguardo al problema dal Consorzio EcoTyre, che fornisce servizi logistici di raccolta e si assume per conto di importatori e produttori di Pneumatici la responsabilità della gestione dei PFU (pneumatici fuori uso).
“Siamo molto soddisfatti della risposta ottenuta dal Ministero dell’Ambiente – ha detto Enrico Ambrogio, Presidente di EcoTyre – sull’annosa questione che affligge il mercato degli pneumatici da ormai troppo tempo

: la possibilità da parte di quei soggetti commerciali con sede all’estero che, operando attraverso canali web, non pagano il contributo ambientale per lo smaltimento degli penumatici giunti a fine vita (PFU). Come se questi pneumatici non avessero lo stesso impatto ambientale rispetto a quelli venduti attraverso canali tradizionali. Secondo la normativa italiana, infatti, i produttori versano un contributo, al momento dell’acquisto di uno pneumatico nuovo, a uno dei Consorzi previsti che dovrà garantire una corretta gestione del PFU una volta giunto a fine vita. Alcuni ‘importatori’ via web, in particolare quelli con sede all’estero, aggiravano la normativa non versando il contributo ambientale; un fenomeno in crescita, che già oggi è pari al 3% del mercato ed equivalente a 2 milioni di pezzi – 12 mila tonnellate di PFU. Da queste stime, come annunciato in conferenza stampa in occasione della presentazione del nostro Annual Report il 14 giugno scorso, il mancato versamento del contributo ambientale ammonterebbe a circa 5 milioni di euro.” Questo, ha sottolineato Ecotyre, comporta 3 gravi conseguenze per il settore. Un mancato introito per l’Erario pari a 1 milione di euro, in ragione dell’IVA applicata al contributo. Un ingiusto vantaggio sul prezzo di vendita, ottenuto dalla mancata applicazione del contributo, comporta una distorsione della concorrenza che danneggia i produttori e gli importatori che applicano correttamente la legge. Infine, il fatto che questi pneumatici, non contabilizzati come immessi sul mercato, una volta giunti a fine vita ricadono sulla collettività per la loro raccolta e trattamento, per un costo stimabile in circa 5 milioni di euro.
Nella risposta del Ministero quindi si specifica che il venditore di pneumatici stabilito in un altro Stato membro che cede a consumatori in Italia tramite “canali web” (B2C) rientra nella nozione di importatore di pneumatici e pertanto deve adempiere agli obblighi statuiti dal D.M. 82/2011 e pagare il contributo ambientale.
Per la vendita effettuata da operatori extra-UE nei confronti dei cittadini italiani, occorre – si legge nel documento del Ministero – incrementare la vigilanza doganale che deve essere messa in condizione di ricevere da produttori e importatori di pneumatici, notizia dell’importo del contributo ambientale applicato per far concorrere questo contributo all’imponibile doganale e IVA nonché di stabilire con disposizione normativa le modalità di riscossione e gestione del contributo eventualmente riscosso dalle dogane.

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