Greenpeace ha pubblicato i risultati di un’analisi sulle mele acquistate nei supermercati di 11 Paesi europei, Italia compresa. Mentre i test sulle mele biologiche non hanno evidenziato tracce di pesticidi, ben l’83 per cento delle mele prodotte in modo convenzionale sono risultate contaminate da residui di pesticidi, e nel 60 per cento di questi campioni sono state trovate due o più sostanze chimiche.
Metà dei pesticidi rilevati hanno effetti tossici noti per organismi acquatici come i pesci, ma anche per le api e altri insetti utili.
Molte di queste sostanze chimiche, inoltre, sono bioaccumulabili, hanno impatti negativi sulla riproduzione o altre proprietà pericolose. Infine, a causa dell’incompletezza di dati e conoscenze disponibili soprattutto sugli effetti di residui multipli, non si possono escludere rischi per la salute umana.
Greenpeace ha analizzato 126 campioni di mele, di cui 109 prodotte convenzionalmente, le rimanenti provenienti da coltivazioni biologiche. Le mele sono state acquistate in 23 catene di supermercati e analizzate in un laboratorio indipendente per verificare la presenza di un’ampia gamma di residui di pesticidi.
In Italia le mele sono state acquistate presso le catene Auchan, Carrefour, Lidl e un campione di mele biologiche presso Naturasì. Nella maggior parte dei campioni era presente almeno il residuo di un pesticida: in un campione acquistato presso Lidl sono stati trovati residui di tre pesticidi. La sostanza trovata più frequentemente è il THPI, un metabolita del fungicida captano.
Greenpeace chiede ai supermercati di abbandonare l’uso di pesticidi pericolosi nella produzione ortofrutticola, incentivando gli agricoltori a preferire pratiche di coltivazione sostenibili.
«Dai campi al piatto, i pesticidi chimici sono una presenza troppo frequente nei nostri alimenti», dichiara Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace. «Anche se tutti i residui individuati rientrano nei limiti stabiliti dalle normative, la varietà di sostanze chimiche trovate mostra che nelle coltivazioni convenzionali è pratica comune irrorare i meleti con applicazioni multiple di pesticidi. Tutto questo, insieme alla scarsa conoscenza dei possibili impatti dei “cocktail di pesticidi” sull’ambiente e sulla salute, è fonte di grande preoccupazione. Inoltre non è accettabile che gli agricoltori e le loro famiglie debbano sopportare il carico tossico di questo fallimentare sistema di agricoltura industriale».
Nel complesso, le analisi sui campioni europei hanno permesso di individuare 39 tipi diversi di pesticidi. Solo il 17 per cento delle mele convenzionali testate è risultata priva di residui rilevabili. Alcuni di questi pesticidi sono considerati altamente persistenti e potenzialmente bioaccumulabili: ciò significa che, una volta rilasciati nell’ambiente, si degradano lentamente e possono risalire la catena alimentare accumulandosi in un’ampia varietà di organismi viventi, finendo così per danneggiare l’intero ecosistema.
Le mele analizzate sono state prodotte in Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Slovacchia, Spagna e Svizzera, e vendute nei supermercati dei rispettivi Paesi d’origine.
«I supermercati devono interrompere questa dipendenza da sostanze tossiche e incoraggiare una progressiva riduzione dei pesticidi nella produzione convenzionale di mele, a partire dai pesticidi più pericolosi, fino alla loro completa eliminazione. I consumatori non vogliono essere responsabili inconsapevoli del degrado dei nostri ecosistemi e i supermercati devono assumersi la responsabilità di ampliare l’offerta di mele coltivate con tecniche che non necessitano di pesticidi, incentivando gli agricoltori ad adottare pratiche di coltivazione ecologiche», conclude Ferrario.
Lo studio conferma i risultati dell’analisi su campioni di acqua e suolo prelevati all’inizio dell’anno nei meleti europei, che avevano rilevato la presenza di numerose miscele di pesticidi.
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