Tra gli 8 e i 10 miliardi di euro. E’ il volume di affari annuo a cui potrebbe arrivare, nel prossimo quinquennio, il mercato dell’efficienza energetica in Italia, in pieno consolidamento e atteso a breve nella fase di maturità. Le previsioni di investimento relative al periodo 2017-2020 si attestano infatti tra i 29,8 e i 34,4 miliardi di euro, con un volume d’affari medio annuo tra i 7,5 e gli 8,6 miliardi.
Sono le conclusioni contenute nell’Energy Efficiency Report 2017 realizzato dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano presentato il 12 luglio.
Gli investimenti in efficienza energetica realizzati in Italia nel 2016 – si legge nell’Energy Efficiency Report 2017 – hanno raggiunto i 6,13 miliardi di euro, confermando il trend positivo degli ultimi 5 anni e facendo registrare una crescita dell’8% rispetto al 2015, un buon assestamento dopo il “boom” del 2014 dovuto soprattutto alla scesa in campo del comparto industriale.
A guidare la classifica con oltre 3 miliardi di euro di investimenti e il 53% del totale è sempre il segmento residenziale, ma quelli che hanno dimostrato maggiore vivacità sono il comparto industriale (poco meno del 33%, circa 2 miliardi di euro) e il terziario, GDO, alberghi e uffici, che cuba appena il 14% degli investimenti (800 milioni di euro) ma è cresciuto di circa 3 punti percentuali sul 2015.
“Una vivacità che si è tradotta in una crescita importante del livello di maturità della filiera dell’efficienza energetica – commenta Vittorio Chiesa, direttore dell’E&S Group della School of Management del Politecnico di Milano -: il numero di ESCo certificate è quasi raddoppiato nel corso del 2016 e, dato per certi versi ancor più interessante, sono molte le utility che hanno aumentato il peso della propria presenza nel settore. La strada per il raggiungimento degli obiettivi europei di efficientamento energetico e riduzione delle emissioni, però, è ancora lunga. E va tenuto alto il livello di attenzione per evitare che l’efficienza energetica diventi troppo presto una commodity sul nostro mercato”.
Le soluzioni di efficienza energetica maggiormente adottate nel 2016 sono state le pompe di calore, l’illuminazione e le superfici opache, che da sole hanno riguardato oltre il 50% della spesa complessiva e che sono state installate per la quasi totalità in ambito residenziale: 1,17 miliardi di euro sono stati spesi per le pompe di calore (il 90% in strutture abitative), circa 1 miliardo ciascuno per l’illuminazione (oltre la metà in abitazioni) e le superfici opache (80%).
Se si analizza il comparto industriale, invece, a farla da padroni sono stati gli impianti di cogenerazione e i sistemi di combustione efficienti, per un valore di 586 e 482 milioni di euro, a cui vanno aggiunte le caldaie a condensazione (315 milioni) e le chiusure vetrate (280).
Il ruolo delle ESCo e la relazione con le utility – Nel corso del 2016 le ESCo (Energy Service Companies) certificate sono aumentate di quasi il 90%, passando in un anno da 144 a 272 (45 delle quali nate dopo il 2012) e facendo crescere del 10% nell’ultimo quinquennio i dipendenti degli operatori specializzati in efficienza energetica, che lo scorso anno erano 7300. Ciononostante, i ricavi delle ESCo sono diminuiti del 10%, passando dai 3,4 miliardi del 2012 ai 3 del 2016.
Se si considera l’EBIT, ossia l’utile prima delle tasse e degli oneri finanziari, il trend invece è crescente: 147 milioni nel 2012 e 170 nel 2016 (+15%). Ma tale andamento è solo all’apparenza positivo: in realtà è dovuto a una diminuzione degli investimenti che le ESCo hanno fatto presso i clienti ed è il segnale di un rallentamento della loro presa sul mercato. Il quadro che emerge è quindi a luci e ombre, con un panorama delle ESCo estremamente frammentato, caratterizzato da operatori di piccole dimensioni e con una bassa marginalità, tanto che nell’ultimo anno il 50% ha fatto registrare un fatturato minore di 1,9 milioni di euro e un EBIT inferiore a 71.000 euro.
Nel 2016 le ESCo hanno realizzato investimenti per 836 milioni di euro, pari ad una quota di mercato di poco inferiore al 14% (era l’11,6 nel 2015): si va dal 25% nel comparto industriale al 23% nel settore terziario/uffici, mentre continuano a persistere notevoli difficoltà nell’aggredire con efficacia il mercato residenziale. Degli oltre 3,2 miliardi investiti nel settore, solamente poco più di 110 milioni sono appannaggio delle ESCo.
Il ruolo delle ESCo quindi ad oggi è ancora minoritario in tutti i comparti. La soluzione tecnologica che sembra trainarne lo sviluppo è la cogenerazione, di cui detengono il 40% del mercato e che veicola il 30% degli investimenti da esse realizzati. Gli interventi di efficientamento di impianti di illuminazione invece pesano per oltre il 20% sugli investimenti delle ESCo, ma queste riescono a intercettare solamente il 17% del mercato: a un notevole peso nel fatturato non corrisponde dunque un’ampia presa sul mercato e questo potrebbe rappresentare un problema nel medio-lungo termine. Interventi di ottimizzazione della refrigerazione, aria compressa e implementazione di SGE rappresentano invece soluzioni in cui le ESCo sono i principali operatori (degli SGE hanno oltre il 70% del mercato), ma si tratta di nicchie estremamente ridotte.
Un trend interessante riguarda poi l’aumento del peso delle utility nell’offerta di servizi di efficienza energetica. Delle 22 top utility del nostro Paese, ben 18 hanno al proprio interno una divisione che si occupa di servizi di efficienza energetica posizionata al primo o al secondo livello dell’organigramma, a testimonianza di come questo tema stia acquisendo importanza. Tra le utility che hanno creato una business unit dedicata (10, il 55% del campione) ben 6 hanno poi al proprio interno una ESCo certificata, talvolta una società esterna che è stata acquisita.
“Il fermento che ha visto la creazione di nuove ESCo dal 2012 al 2016 ha quindi interessato in maniera significativa anche le utility – commenta Vittorio Chiesa -. Se questo, da un lato, rappresenta un ulteriore segnale dell’interesse verso i servizi di efficienza energetica, dall’altro pone una seria questione circa la possibilità per il mercato di sopportare un incremento della competizione e soprattutto una diversificazione così spinta della tipologia di operatori.
L’ingresso delle big dell’energia nei servizi di efficienza energetica è indubbiamente una minaccia per il resto delle ESCo, soprattutto quelle nate esclusivamente per fare questo mestiere. Le utility possono infatti sfruttare la disponibilità di capitali e la capillarità che deriva loro dalla vendita del vettore energetico per aggredire in maniera efficace sia il mondo industriale che quello residenziale. Tuttavia, essendo ancora ‘giovani’ nel campo dell’efficienza energetica, non hanno sviluppato competenze specifiche. È in quest’ottica che il connubio tra ESCo e utility consentirebbe a entrambi di colmare le lacune, sfruttare i rispettivi punti di forza e trasformarsi in un volano per lo sviluppo con un processo di concentrazione di cui oggi si vedono solo le prime avvisaglie”.