Ecosistemi marini, ecco come cambiano

Interi ecosistemi dominati da coralli possono essere, nel giro di pochi anni, sostituiti da ecosistemi dominati da alghe.

Una nuova metodologia computazionale che simula la selezione evoluzionistica permette di comprendere le molteplici cause che determinano il regime shift, cioè il cambiamento delle specie dominanti negli ecosistemi marini. Fra queste, temperatura, circolazione delle correnti e abbondanza di predatori. La ricerca dell’Ismar-Cnr è pubblicata su Plos One.

 

“Interi ecosistemi dominati da coralli possono essere, nel giro di pochi anni, sostituiti da ecosistemi dominati da alghe. Questo fenomeno è noto come regime shift o phase shift”. A parlare è Alessandra Conversi, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) che, assieme al collega di Istituto Simone Marini, ha coordinato uno studio sulle dinamiche evolutive degli ambienti marini della colonna d’acqua del Mare del Nord, pubblicato su Plos One. “Tale trasformazione avviene quando l’ecosistema è sottoposto a stress: inizialmente risponde con leggere modifiche, secondo la capacità chiamata resilienza, ma oltre un punto soglia può, in un tempo molto breve, passare a uno stato alternativo dominato da specie diverse. È quanto accade, ad esempio, quando una specie ittica pregiata viene sostituita da altre poco commestibili. Un altro esempio sono le foreste di alghe kelp, ecosistemi marini di interesse per i subacquei che con il passare del tempo si stanno trasformando in rocce nude, causando diverse perdite nel settore del turismo e della farmaceutica”.
I ricercatori Ismar-Cnr, in collaborazione con l’Università di Plymouth (UK), hanno cercato di capire da cosa derivino questi cambiamenti che hanno già creato dibattiti all’interno della comunità scientifica. “C’è chi sostiene che gli eventi potrebbero dipendere da componenti fisiche, come temperatura, circolazione delle correnti marine e clima, e chi ritiene invece che scaturiscano da componenti biologiche come l’abbondanza di prede o di predatori”, precisa Conversi.
“In questo lavoro abbiamo sviluppato una nuova metodologia computazionale basata sul calcolo evoluzionistico, in grado di estrarre modelli matematici dai dati dell’ecosistema studiato attraverso meccanismi di selezione che simulano quelli degli organismi viventi. Lostrumento aiuta a dedurre le informazioni necessarie per comprendere un insieme complesso come un ecosistema marino, incluse le cause che possono influenzare la quantità di una determinata specie”, spiega Simone Marini.
Nel biosistema pelagico del Mare del Nord, scelto in quanto soggetto a regime shift negli anni ‘80, sono state selezionate diverse variabili e una specie target. “Per la ricerca abbiamo preso in considerazione come specie target il copepode (una sottoclasse di crostacei) Calanus finmarchicus – una varietà zooplanctonica fondamentale nei sistemi marini temperati e subartici, cibo di moltissimi pesci – e 26 variabili ambientali a scala sia emisferica sia locale, tra cui clima, pressione, temperatura, circolazione delle correnti, nutrienti e abbondanza di varie specie di prede e predatori”, chiarisce Conversi.
I risultati hanno evidenziato che tra questi parametri, tre sono potenziali cause di cambiamento della specie considerata. “Il mutamento è stato provocato da temperatura, circolazione e abbondanza di aringhe, che si cibano di Calanus finmarchicus. Quindi nella trasformazione hanno influito in sinergia la componente fisica-climatica e quella biologica”, conclude Marini. “Lo studio evidenzia la necessità di utilizzare metodi analitici più obiettivi e con una più ampia varietà di dati allo scopo di comprendere meglio il funzionamento degli ecosistemi marini”.

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