Il diario di viaggio di Guido Guerrini, da Sansepolcro a Volgograd a bordo di un mezzo ecologico – Giorno 5 e arrivo alla meta
Giorno 5
Sveglia mattutina a temperature più basse del solito. Affacciarsi alla finestra e vedere l’adiacente lago gelato, ora illuminato dalla luce mattutina, ci fa sentire molto lontani da casa. La signora che gestisce il motel è molto orgogliosa del panorama invernale di cui si può godere e conveniamo con lei sul fatto che sia decisamente “krasìvo” (bello). Lo specchio d’acqua è popolato da diverse persone: oltre a quelle impegnate a pescare c’è perfino un ragazzo che, armato di mazza, disco e ginocchiere, si allena da solo a giocare ad hockey.
Anche noi ci avventuriamo in una veloce passeggiatina sulla superficie ghiacciata, per poi salutare tutti e riprendere il viaggio.
La strada è ancora in buone condizioni fino alla periferia di Char’kov. Ormai da tempo, e sempre più man mano che ci addentriamo nell’Ucraina orientale, quasi tutte le scritte che incontriamo, a parte i cartelli stradali ufficiali, sono in russo e non più in ucraino, a conferma del fatto che in questa parte del Paese la popolazione russofona è netta maggioranza.
Char’kov, con il suo milione e mezzo di abitanti, è la seconda città più grande dell’Ucraina. A differenza delle vicine Dnipropetrovs’k e Donets’k, che sono il cuore minerario della nazione, è il cervello industriale. Non a caso alla fine degli anni quaranta del Ventesimo secolo proprio qui si è sviluppata l’industria nucleare sovietica. Char’kov è inoltre il luogo in cui i resti delle divisioni italiane sbaragliate in Urss nell’inverno 1942-1943 si radunarono dopo la battaglia di Nikolaevka per ritornare verso casa. I pochi che riuscirono ad arrivare in città in quel contesto avevano percorso 250 chilometri a piedi, vedendo morire nel tragitto la gran parte dei propri commilitoni, abbattuti da freddo, fame, malattie, partigiani e soldati sovietici.
Attraversiamo Char’kov percorrendo una complicata tangenziale ricca di svolte ma povera di cartelli. Qui facciamo un nuovo rifornimento di metano in un obsoleto distributore. Il nostro Iveco Daily è ben accompagnato dallo storico camion ZiL-130 e da un altro antiquato ma affascinante mezzo pesante.
Cento chilometri più a sud sostiamo per il pranzo in un altro luogo di concentrazione di truppe italiane, stavolta nel viaggio di andata verso il fronte orientale nell’estate del 1942. Si tratta della cittadina di Izium, scalo ferroviario dal quale degli increduli alpini furono inviati a combattere non, come credevano, fra le montagne del Caucaso, ma sulle pianure lungo il fiume Don a nord di Stalingrado. L’episodio è descritto in molti libri, tra cui l’interessante e dettagliato “La ritirata di Russia” di Egisto Corradi, edito da Longanesi nel 1965. Anche in questo caso i soldati, dopo giorni e giorni di treno, dovettero spostarsi a piedi da Izium al fronte, distante circa 200 chilometri.
In questo tratto di strada non c’è traccia dei lavori di miglioramento che in Ucraina hanno interessato molte tratte in occasione dei Campionati europei di calcio dello scorso anno. Di conseguenza viaggiamo su una striscia d’asfalto considerevolmente dissestata che più si conforma alla canonica definizione di “strada russa”; ciò ci impone velocità basse e un’enorme attenzione alle tante buche in mezzo alla carreggiata e al ghiaccio che si stende ai lati.
Provati dagli scossoni raggiungiamo la destinazione odierna, la città di Lugans’k, a soli 50 chilometri dal confine di Krasnodon tramite cui abbiamo in programma di entrare nella Federazione russa. Prima di sistemarci nel comodo hotel che porta il nome della città, un’imponente struttura sovietica che era stata tappa anche del viaggio estivo a Volgograd nel 2012, facciamo un altro rifornimento di metano. In questo caso il sistema è davvero interessante, perché si tratta di quello pionieristico scomparso dai distributori italiani ormai da diversi anni: la pompa non calcola automaticamente il gas erogato, bensì la pressione che, combinata con la capacità delle bombole, permette di determinarne lo spazio vuoto, e da quello i soldi da pagare.
Dopo una doccia ristoratrice, ci incamminiamo lungo Ulica Sovetskaja (Via Sovietica) che, con temperature ben al di sotto dello zero, presenta marciapiedi completamente ghiacciati. Ammiriamo operai spalare a mano cumuli di neve che vengono poi trasferiti tramite ruspa dentro molti camion con destinazione ignota. Ci chiediamo in senso ironico se tutta questa neve verrà portata nella città di Soči, dove si svolgeranno dal prossimo febbraio i Giochi olimpici invernali.
Ci fermiamo in uno dei tanti locali in cui nella tappa dell’anno scorso non eravamo riusciti a trovare posto, a causa dei tanti ucraini che affollavano i ristoranti per guardare la sfortunata partita della loro nazionale ai Campionati europei di calcio contro l’Inghilterra. Come sempre cerchiamo piatti tradizionali, e questa sera ci dedichiamo in particolare agli šašliki, buonissima carne di maiale arrosto, accompagnati da birra Černigovskoe.
Rientrati in albergo seguiamo al telegiornale gli sviluppi dell’importante incontro odierno tra il Presidente ucraino Janukovič e quello russo Putin a Mosca. A quanto pare la Russia comprerà 15 miliardi di dollari di bond ucraini e abbasserà di un terzo il prezzo del gas venduto al Paese vicino. Janukovic ha così ottenuto dalla Russia agevolazioni e liquidi di un valore pressoché pari ai 40 miliardi richiesti ma non ottenuti bussando alla porta dell’Unione Europea. Tutto questo piacerà alla parte orientale e filo-russa del Paese mentre alzerà probabilmente la tensione nella parte occidentale.
Giorno 6
L’ultimo risveglio in Ucraina è di quelli difficili. Siccome perderemo due ore di fuso orario passando la frontiera, decidiamo di anticipare la partenza per non subire passivamente la perdita di due importanti ore di viaggio. È curioso passare da un’ora di anticipo rispetto all’Italia alle tre ore che avremo stasera. Fino a poco tempo fa le ore erano due, ma una delle recenti riforme di Putin ha previsto la soppressione dell’ora solare e l’accorpamento dei fusi orari che da 11 scendono a 6. Questo comporta che da una zona all’altra della Russia l’orario cambia di due ore alla volta. Per alcuni aspetti è una riforma interessante visto che semplifica la vita di coloro che vivono in vaste aree della Russia, ma come controindicazione ha il fatto che in ogni confine di fuso orario il salto orario è significativo.
Usciamo dalla laboriosa e trafficata Lugansk senza incontrare grossi problemi. Ovviamo alla carenza di cartellonistica orientandoci verso un’accecante alba che ci guida verso est. Invece a Krasnodon la cartellonistica c’è, ma delle due è ingannevole: per farci evitare il centro cittadino ci spinge verso stradine periferiche completamente gelate, dove sperimentiamo la prima leggera scivolata su ghiaccio del nostro lungo Daily. La gita attorno al paese prosegue con un paradossale tour attorno ai “terrakony” delle miniere di Krasnodon. Sono le uniche asperità che rendono meno noiosi i piatti panorami locali. Come ci è capitato più volte in passato osservare, il terrakon è davvero interessante: si tratta di montagne, solitamente a forma di cono vulcanico, composte della terra estratta dalle miniere che a seconda di stagione, riflessi del sole e vegetazione, riescono ad assumere colorazioni cangianti.
Recuperiamo la strada principale calcolando in almeno mezz’ora il tempo perso. Gli ultimi chilometri di Ucraina sono senza dubbio i peggiori, con strada gelata e ricca di buche. Arriva finalmente il momento della dogana che più temiamo, quella di Izvarine-Donec’k, che ben conosciamo per esserci passati altre volte. Le operazioni sul lato ucraino si ultimano in appena venti minuti. Passiamo alla Russia, dove solitamente la burocrazia regna sovrana, e anche quando tutto fila liscio le attese non sono brevi. Dopo la compilazione delle carte di immigrazione e l’ammissione in dogana si passa al controllo passaporto, dove la bionda e carinissima funzionaria, della quale segnaliamo un convincente smalto blu, alterna sorrisi a perplessità sulle differenze tra il visto di Emanuele (scopi umanitari) e quello di Guido e Giacomo (turistico). Nel frattempo il conducente designato, in questo caso Guido, affronta le problematiche relative al furgone cominciando dall’ispezione del carico. Vestiti, cibi, vini, il tutto viene da noi spacciato per regali di Natale e Capodanno onde evitare domande sui motivi umanitari del viaggio e sulla destinazione finale degli aiuti. Dubbi nascono anche dal fatto che il veicolo dell’azienda Piccini viene portato in Russia da soggetti che apparentemente fanno turismo. Per fortuna i dubbi non si trasformano in ennesime problematiche. L’ultima perla viene da un baffuto doganiere che ci chiede degli euro in moneta per la sua collezione numismatica. In un primo momento pensiamo al ritorno di moda della corruzione, invece il nostro amico seleziona con cura le monetine che gli mancano lasciandoci tutte le altre.
Eccoci finalmente in Russia dopo altre due ore (senza contare le due di fuso orario), ma ancora senza aver completato le formalità, ovvero la copertura assicurativa. L’ufficio al di fuori della frontiera è gestito da tre ragazze all’interno di un prefabbricato nel quale veniamo ospitati. Sediamo in un letto e assistiamo alla compilazione dei moduli che ci riguardano. Cinquanta euro completano il percorso. Le tre assicuratrici riescono a rifilare al conducente designato anche un’ulteriore assicurazione medica probabilmente inutile.
Conquistati dei rubli nella banca più vicina ed effettuata una lunga sosta ad un passaggio a livello dove transita un treno merci con ben quattro locomotori, siamo lungo la M-21, la lunga strada che ci condurrà a Volgograd. Prima di affrontare gli ultimi 300 chilometri ci concediamo un pranzetto a base di plov e pel’meni.
La M-21 è molto buona e di facile percorrenza nei mesi caldi, ma d’inverno è un nastro d’asfalto nel bel mezzo della steppa dove è facile che il vento porti la neve al centro della strada. Alterniamo momenti di veloce percorrenza ad altri dove la cautela deve essere massima soprattutto perché, volendo arrivare al traguardo finale, viaggiamo almeno due ore con il buio e quindi con il ghiaccio.
Emozionante, nonostante l’oscurità, è il consueto passaggio da Kalač-na-Donu con il ponte sul fiume Don e tutti i ricordi che si porta dietro soprattutto per noi italiani.
A meno di cento chilometri da Volgograd ci prendiamo un grande spavento quando ci troviamo al centro della strada un insolito cumulo di neve. In realtà si tratta della linea di separazione tra due corsie, una di marcia ed una di svolta, ma dove gli spazzaneve hanno lasciato i residui del loro lavoro. Ecco quindi che, impossibilitati a cambiare direzione a causa di altre auto, finiamo dritti nel cumulo bianco. L’unico correttivo che riusciamo ad applicare è rallentare la corsa del Daily poi definitivamente fermato, in modo soffice, dalla neve. Apparentemente le ruote non fanno presa nel manto nevoso e fatichiamo non poco ad uscirne combinando molte retromarce a piccoli avanzamenti. Riprendiamo il cammino e forti dell’insolita esperienza raddoppiamo la prudenza.
Alle 21,15 minuti dell’ora di Mosca (le 18,15 in Italia) siamo all’ingresso di Volgograd. Nonostante l’oscurità ci concediamo lo sfizio della foto con la storica insegna che porta i tre nomi di questo luogo: Caricin (Tsaritsin), Stalingrado e infine Volgograd, come la città si chiama dal 1961. Torneremo nei prossimi giorni a glorificare il nostro veicolo con delle foto diurne.
Se le strade cittadine principali sono state ripulite dalle grandi nevicate dei giorni scorsi, lo stesso non si può dire per le stradine del quartiere tzigano dove è ubicata la sede della Comunità Giovanni XXIII. Galleggiando tra la neve, e faticando per l’ultima volta in questo lungo giorno, raggiungiamo la destinazione, e troviamo ad aspettarci Marco, Ruslan, Jura, il tedesco Jonas e il fido cane Dik. Finalmente svuotiamo il Daily e saturiamo dispensa e magazzino del luogo dove saremo ospitati. Nei prossimi giorni, quelli più prossimi al Natale, i materiali saranno distribuiti ai senzatetto che la comunità segue.
La giornata conclusiva dell’ultimo giorno del viaggio di andata si chiude con un cenone a base di pel’meni e vino italiano, accompagnato dai racconti di Marco che ci aggiorna sulle novità che caratterizzano la vita della città.
Le nostre corrispondenze da Volgograd nei prossimi giorni proseguiranno con carattere non quotidiano!