Ambiente e semplificazione, l’intervento del Ministro Galletti

Ambiente e semplificazione, l'intervento del Ministro Galletti
Ambiente e semplificazione, l'intervento del Ministro Galletti

Il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Gianluca Galletti è intervenuto ieri in Commissione per la semplificazione sugli strumenti emergenziali in materia di dissesto idrogeologico e tutela del territorio.

Il Ministro ha sottolineato la necessità di una revisione della normativa ambientale nazionale, a partire dal Codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006) e la nomina di una commissione di studio incaricata di effettuare una ricognizione delle competenze attualmente previste dalla legislazione nelle varie procedure per elaborare le principali direttrici d’intervento ai fini dell’adeguamento normativo.
Galletti: “la semplificazione normativa, una maggiore chiarezza delle regole, procedure più snelle ed efficaci sono elementi chiave per elevare la qualità ambientale del Paese”.

Tra i temi toccati anche la tutela delle acque e le procedure di infrazione e condanne a carico dell’Italia per il mancato adempimento agli obblighi comunitari in questo ambito, una delle emergenze che richiedono rapidità di azione e che il governo si è attivato per affrontare.
Di seguito vi proponiamo il testo integrale dell’audizione.

AUDIZIONE MINISTRO DELL’AMBIENTE GIAN LUCA GALLETTI in Commissione Parlamentare per la semplificazione amministrativa

Signor Presidente, On.li Parlamentari,

con grande piacere ho accolto il vostro invito, che mi dà la possibilità di continuare il confronto su queste tematiche, con l’obiettivo di individuare percorsi normativi e amministrativi di semplificazione, particolarmente in materia di emergenza ambientale. Il ministero è impegnato con la massima attenzione su questi temi, convinto che la semplificazione normativa, una maggiore chiarezza delle regole, procedure più snelle ed efficaci siano elementi chiave per elevare la qualità ambientale del Paese.

Su queste tematiche e sulle questioni poste da questa Commissione (ricordo a questo proposito la recente partecipazione del mio ufficio legislativo all’audizione del 26 marzo 2015) c’è dunque la volontà di un confronto aperto e propositivo.

Gli interventi posti in essere in questi anni dal legislatore sono stati finalizzati alla riduzione dello “stock” complessivo della legislazione nazionale, attraverso la c.d. “normativa di semplificazione e abrogazione”, nonché attraverso la codificazione della normativa primaria in specifici testi unici. Gli obiettivi prefissati con il testo unico in materia ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006), in realtà, alla prova dei fatti, si sono mostrati incapaci di ricondurre ad unità la legislazione che regola le singole materie oggetto del riassetto. Basta ricordare che il c.d. “Codice dell’ambiente”, già all’epoca dell’emanazione, è stato il frutto di una ricomposizione di articoli della legislazione vigente raccolti in maniera disorganica e senza alcun coordinamento.

Come noto a questa Commissione, inoltre, occorre considerare che la normativa ambientale si configura sempre più quale diritto eteronomo, in quanto l’ordinamento nazionale di settore è influenzato in modo
diretto e approfondito dal diritto internazionale e dal diritto europeo. Basti pensare, per tutti, a principi quali quello del “chi inquina paga” ed al principio di precauzione. Tutto questo rende sicuramente molto complessa la cristallizzazione del diritto dell’ambiente.

Tale settore dell’ordinamento, peraltro, è volto a governare fenomeni caratterizzati dalla circostanza secondo la quale, in un gran numero di casi, le interconnessioni tra ciò che accade nei diversi sistemi territoriali sono profonde e sfaccettate, tanto che i comportamenti adottati in uno specifico contesto territoriale sono spesso portatori di significative esternalità. Da qui la conseguenza secondo la quale, in tutti questi casi, in base alla logica profonda del principio di sussidiarietà che anima la nostra Costituzione, la decisione ultima del governo di tali fenomeni deve essere senz’altro attribuita ad un soggetto dotato di un ambito valutativo sufficientemente ampio da poter tenere in adeguata considerazione tutte le esternalità, positive e negative, connesse alla adozione della decisione. E non ci si può certo nascondere che, in numerose circostanze, l’interconnessione delle questioni ambientali è talmente profonda ed estesa che l’unico ente in grado di assumere su di sé tale compito è lo Stato. Ovviamente – come insegna anche la giurisprudenza costituzionale sul punto – le decisioni prese dallo Stato in campo ambientale sono spesso portatrici di una “forte incidenza” nei confronti delle funzioni degli altri enti territoriali, ed in particolare delle Regioni. Ciò comporta dunque la necessità che nella predisposizione delle procedure preordinate alla adozione delle decisioni da parte del centro si prefigurino momenti di adeguata consultazione e collaborazione con le istituzioni territoriali. E’ però di fondamentale importanza che ciò non pregiudichi in alcun modo l’efficacia e la adeguatezza delle decisioni che è necessario adottare: altrimenti verrebbero pregiudicati interessi ambientali che la nostra Costituzione sancisce come fondamentali.

Per di più, come è altrettanto noto, il diritto dell’ambiente governa aspetti di primaria importanza al fine di garantire a tutti un’esistenza dignitosa. Si pensi non solo al fondamentale settore dei rifiuti, ma anche – per quel che di più specifico interesse in questa sede – alle numerose emergenze che caratterizzano il nostro Paese. Le emergenze in campo ambientale, in particolare, rivestono un’assoluta priorità in quanto spesso possono provocare vittime e danni anche irreparabili alla salute delle persone, all’ambiente e al patrimonio culturale, o compromettere gravemente lo sviluppo economico di un territorio. Basti pensare alle emergenze connesse al rischio idrogeologico che risultano aggravate, oggi più che mai, dai fenomeni di cambiamento climatico in atto o a quelle connesse alla mancata depurazione delle acque, sia per la compromissione e il deterioramento dello stato di qualità dei corpi idrici che ne consegue, sia a causa delle numerose procedure di infrazione e conseguenti condanne che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha inflitto all’Italia per mancato adempimento agli obblighi comunitari.

Ebbene, anche da questo punto di vista, deve essere affermato con chiarezza che esiste una non eludibile responsabilità in capo allo Stato ed in particolare al Governo, che – secondo la logica dei poteri sostitutivi straordinari disciplinati dalla Costituzione all’art. 120, secondo comma – rappresenta un vero e proprio garante di ultima istanza per l’incolumità e la sicurezza pubblica e, più in generale, per l’unità giuridica ed economica della Repubblica. Il Governo intende assumersi in pieno le responsabilità che la Costituzione gli assegna.
Deve peraltro essere evidenziato come la legislazione vigente troppo spesso costruisce, nei vari settori del diritto dell’ambiente, complessi concorsi di competenze tra i vari enti territoriali che – se certamente vanno incontro all’esigenza di dar voce alle istituzioni rappresentative dei territori specificamente coinvolti dalle singole decisioni – troppe volte rappresentano fattori di complicazione procedurale tali da mettere a rischio la stessa efficacia del sistema decisionale.

Al riguardo deve senza dubbio essere vista con favore quella tendenza che negli ultimi anni ha caratterizzato la giurisprudenza costituzionale, che ha puntato a valorizzare le responsabilità dello Stato in campo ambientale, “prendendo sul serio” l’attribuzione a quest’ultimo, da parte dell’art. 117 Costituzione, della competenza legislativa esclusiva. Non si può tacere, peraltro, che è in fase avanzata l’iter di approvazione di una grande e profonda riforma costituzionale che approfondisce ulteriormente tale logica irrobustendo le competenze e le responsabilità dello Stato sui temi ambientali e attribuendo con maggiore chiarezza a quest’ultimo importanti compiti in settori inestricabilmente connessi.
E’ dunque mia intenzione farmi promotore da subito di una riforma della legislazione ambientale che sia la più vasta possibile, al fine di adeguare le norme sul riparto delle competenze fra Stato, Regioni ed enti locali, e sui diversi processi decisionali al nuovo assetto costituzionale delle responsabilità così come sopra ricostruito. Già è stato compiuto qualche passo in questa direzione, come più avanti dirò. Pare però necessario rivedere, alla luce delle considerazioni sopra esposte, sia il d.lgs. n. 152 del 2006 che le altre normative ambientali più importanti. Non è, come è evidente, un’impresa da poco. Mi pare tuttavia che sia necessario costruire un tessuto normativo credibile per fronteggiare le complesse sfide che pone il diritto dell’ambiente, anche tenendo conto delle profonde trasformazioni costituzionali che sono in corso. A questo fine è mia intenzione già nei prossimi giorni provvedere alla nomina di una apposita commissione di studio incaricata di procedere ad una ricognizione nella legislazione vigente dello stato delle competenze delle procedure in tutti i settori nevralgici, nonché di elaborare le direttrici principali dell’intervento normativo di adeguamento del riparto delle competenze ambientali.

Se queste sono le linee ispiratrici di carattere generale che, con riguardo al tema della semplificazione, mi pare necessario far presente in questa sede che una riflessione particolare deve essere svolta per le semplificazioni specificamente concernenti le procedure da adottare a seguito di eventi emergenziali. In tali casi, infatti, se da un lato la necessità di assicurare risposte celeri ed efficaci è ancor più forte, dall’altro è necessario contenere al minimo la deroga ad istituti generali posti a presidio di importanti interessi ambientali, e spesso strettamente legati a norme di diritto dell’Unione europea.

Passo ora ad occuparmi di temi più specifici, illustrando le criticità, i passi avanti e i possibili interventi migliorativi con riguardo ad alcuni settori specifici.

Iniziative realizzate dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare.

TERRE ROCCE DA SCAVO

Merita una particolare attenzione il processo di semplificazione realizzato con c.d. decreto “Sblocca Italia” riguardante le “Terre Rocce da Scavo”. Sotto il profilo procedimentale, la norma di autorizzazione prevede l’adozione di un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’Ambiente, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Particolarmente utile è stata la fase di consultazione pubblica online a cui la proposta di regolamentazione è stata sottoposta per la durata di trenta giorni (dal 19 novembre al 19 dicembre 2015); le controdeduzioni del Ministero dell’ambiente sono state pubblicate sul portale del ministero, nei trenta giorni successivi la conclusione della consultazione (il 19 gennaio 2015). Positivo è stato senz’altro il risultato della consultazione pubblica, il quale ha consentito l’adozione di un testo maggiormente chiaro, semplice, completo e coerente con la disciplina di riferimento sia a livello nazionale che europeo.

Il 17 dicembre 2015 la Conferenza Unificata ha espresso il proprio parere sullo schema di regolamento e lo schema di regolamento è stato< approvato in sede di esame preliminare dal Consiglio dei Ministri prima e dopo dell’espletamento della procedura di consultazione pubblica (rispettivamente il 6 novembre 2015 e il 15 gennaio 2016) .
Elementi di semplificazione

Lo scopo dell’intervento normativo, oltre a prevedere una disciplina di dettaglio ed a evitare una procedura d’infrazione, è volto a semplificare l’intera disciplina vigente sulla gestione delle terre e rocce da scavo, riducendola ad un unico testo, integrato, autosufficiente e internamente coerente. In coerenza con la normativa europea di settore sui sottoprodotti, un ulteriore elemento di semplificazione è stato realizzato, con il passaggio dal modello del “controllo preventivo”, basato sul rilascio di autorizzazioni, al modello del “controllo ex post”, basato su meccanismi di autodichiarazione da parte degli operatori economici e sul rafforzamento del sistema dei controlli. In tal senso la nuova procedura non subordina più la gestione e l’utilizzo delle terre e rocce da scavo qualificate sottoprodotti alla preventiva approvazione del piano di utilizzo da parte dell’autorità competente. In questo modo si evitano i lunghi tempi di attesa cui erano costretti i soggetti che operano nel settore delle terre e rocce da scavo, obbligati, finora, ad attendere la preventiva approvazione del piano di utilizzo delle terre e rocce da parte delle autorità competenti.
Tra i principali elementi di semplificazione introdotti dallo schema di regolamento si segnalano i seguenti:
la semplificazione delle procedure e la fissazione di termini certi per concludere le stesse, anche prevedendo meccanismi in grado di superare eventuali situazioni di inerzia da parte degli Uffici pubblici;

una stretta interazione tra i soggetti che operano nel settore delle terre e rocce da scavo e le strutture deputate ai controlli, prevedendo che, fin dalla fase di predisposizione del piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo, i primi possano interagire con le Agenzie regionali e provinciali di protezione ambientale per le preliminari verifiche istruttorie e tecniche, anticipando lo svolgimento dei controlli previsti per legge;
procedure più veloci per attestare che le terre e rocce da scavo soddisfano i requisiti stabiliti dalle norme europee e nazionali per essere qualificate come sottoprodotti e non come rifiuti;
il rafforzamento del sistema dei controlli e una disciplina più dettagliata ed efficace per il deposito intermedio delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti;

unificazione e semplificazione degli adempimenti previsti per il trasposto fuori dal sito delle terre e rocce da scavo qualificate sottoprodotti;

unificazione e semplificazione degli adempimenti correlati all’obbligo di comunicare l’avvenuto utilizzo delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti;

tempi certi, sempre pari a 60 giorni, in cui ARPA e APPA svolgono le attività di analisi;

l’ eliminazione dell’obbligo della comunicazione preventiva all’autorità competente relativa ad ogni trasporto avente ad oggetto terre e rocce da scavo qualificate sottoprodotti e generate nei cantieri di grandi dimensioni;

la definizione delle condizioni in presenza delle quali è consentito l’utilizzo, all’interno di un sito oggetto di bonifica, delle terre e rocce ivi scavate;

l’ individuazione di procedure uniche per gli scavi e la caratterizzazione dei terreni generati dalle opere da realizzare nei siti oggetto di bonifica;

una disciplina specifica per il deposito temporaneo dei rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo.

Da ultimo si vuole evidenziare come lo schema di regolamento che disciplina la gestione semplificata delle terre e rocce da scavo, nella versione approvata in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 15 gennaio u.s., già si muove nella direzione auspicata dall’indagine conoscitiva sulle semplificazioni possibili nel superamento delle emergenze. In tal senso, il testo dello schema di regolamento non prevede più nell’articolo 13, una speciale procedura per far fronte a “situazioni di emergenza, semplificata e adottata in deroga alla procedure ordinarie sulla gestione delle terre e rocce da scavo qualificate sottoprodotti”. Tale disposizione, che disciplina l’utilizzazione delle terre e rocce da scavo, è stato espunta dallo schema di regolamento a seguito dell’espletamento della procedura di consultazione pubblica. Infatti, sebbene alcune osservazioni abbiano evidenziato l’opportunità di implementare e estendere l’applicazione della disciplina delle situazioni di emergenza, si è ritenuto preferibile, in riscontro ad altre osservazioni, espungere dal testo la previsione, e rinviare la disciplina di queste “emergenze” al disegno di legge delega di riforma della protezione civile (A. S. 2608), già approvato dalla Camera, per garantire che tutte le tutte le “emergenze” siano disciplinate in un’unica cornice normativa.

STRUMENTI EMERGENZIALI DI GESTIONE DEI RIFIUTI

Per quanto attiene alla gestione dei rifiuti, anche se non specificamente destinata alla gestione delle fasi successive alle emergenze, ma utilizzabili, ed utilizzate, anche in queste, l’attuale normativa, in particolare l’art. 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, disciplina provvedimenti contingibili e urgenti prevedendo la possibilità che – in situazioni eccezionali e per periodi di tempo limitati – la gestione dei rifiuti avvenga “in deroga” alla disciplina posta dalla parte quarta del decreto stesso, quando ciò si renda indispensabile per tutelare la salute dei cittadini e l’ambiente.
Il potere di ordinanza consente all’amministrazione di far fronte ad emergenze nelle quali non è possibile intervenire mediante i provvedimenti tipici e le procedure ordinarie previste dalla legge.
Il presupposto per la loro adozione è una situazione eccezionale di “necessità ed urgenza”, tale da non consentire il ricorso a procedure ordinarie.

Con la predetta norma, il sindaco e il presidente della regione, acquisito il parere degli organi tecnico-sanitari locali, dispongono del potere di “ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di smaltimento dei rifiuti anche in deroga alle disposizioni vigenti”.
E’ del tutto evidente che, per la loro natura come descritta, le predette ordinanze solo in parte sono strumenti utilizzabili in situazioni emergenziali, tranne che quando queste non derivino da “cattiva” gestione della normativa da parte delle amministrazioni. Solo a titolo esemplificativo, in una situazione emergenziale nell’erogazione del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, l’adozione delle ordinanze ex art. 191, d. lgs. 152/2006 può risultare utile ad alleviare l’emergenza in atto consentendo alle amministrazioni di adottare quei provvedimenti necessari al superamento della stessa.

Qualora, invece, lo stato di emergenza da affrontare, dichiarato dalla Protezione civile, sia la conseguenza di eventi calamitosi naturali, il decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede un’unica fattispecie semplificativa, consistente nella deroga al divieto di smaltire i rifiuti urbani al di fuori della regione di produzione.

Al riguardo, si potrebbe pensare all’ipotesi di una norma di carattere generale applicabile nei casi di calamità naturali dichiarati dalla Protezione civile, che senza necessità di una ulteriore mediazione amministrativa, consenta speciali forme di gestione dei rifiuti. Su questo ho già dato mandato ai mie uffici di valutare la fattibilità di alcuni interventi nell’ambito del disegno di legge delega di riforma della protezione civile (A. S. 2608) che, come noto, è in attesa di esame alla I Commissione Affari Costituzionali del Senato, e prevede l’emanazione di specifiche disposizioni volte, in particolare, ad assicurare procedure trasparenti di verifica ex post degli interventi posti in essere dal Servizio nazionale della protezione civile in situazioni di emergenza, specie con riferimento alla gestione dei rifiuti, delle macerie, dei materiali vegetali e delle rocce e terre da scavo prodotti in condizioni di emergenza, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento giuridico.

STRUMENTI EMERGENZIALI IN MATERIA DI DISSESTO IDROGEOLOGICO E TUTELA DEL TERRITORIO E DELLE ACQUE

Ho già fatto menzione delle ben note emergenze a carattere ambientale che sempre più spesso caratterizzano la nostra esperienza. Al riguardo intendo innanzitutto evidenziare come la messa in sicurezza del territorio e il superamento delle varie criticità ambientali sia sempre stato un obiettivo prioritario del Ministero dell’Ambiente. In questi ultimi anni, ed in particolare a partire dal 2014, l’azione del Governo è stata tuttavia finalizzata ad affrontare in modo ancor più incisivo il problema della gestione e del superamento delle emergenze in campo ambientale. Ciò ha portato, sul piano legislativo, ad una serie di interventi normativi che hanno fortemente inciso sia sugli aspetti della programmazione degli interventi in materia di rischio idrogeologico che sulle fasi di progettazione ed esecutive degli stessi e di quelli necessari all’adeguamento del servizio idrico integrato.

In tal senso si possono anzitutto richiamare l’art. 10 del decreto legge n. 91 del 2014 e gli art. 7 e 9 del decreto legge n. 133 del 2014. In particolare con il primo provvedimento i Presidenti di Regione sono subentrati alle precedenti gestioni commissariali con poteri ampliati e rafforzati allo scopo di accelerare e semplificare
sia la fase di progettazione che quella di autorizzazione e successiva esecuzione. A titolo esemplificativo basti pensare al fatto che il Presidente di Regione è titolare dei procedimenti di approvazione e autorizzazione dei progetti e si avvale dei poteri di sostituzione e di deroga, e che l’autorizzazione rilasciata sostituisce tutti i visti, i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta e ogni altro provvedimento abilitativo e costituisce, ove occorra, variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale.

Con lo Sblocca Italia la responsabilità nell’attuazione di qualunque intervento in materia di rischio idrogeologico è stata attribuita ai Presidenti di Regione in qualità di Commissari di Governo contro il dissesto idrogeologico con tutti i poteri e le modalità già previste dal citato decreto legge 91 del 2014. La norma fa dunque chiarezza sulle competenze, riconoscendo nella fase attuativa un unico centro di responsabilità, incardinato sui Presidenti di regione che devono assicurare, anche avvalendosi di diversi soggetti attuatori, la realizzazione delle opere. Lo Sblocca Italia va comunque oltre, definendo nuove regole anche per la fase di programmazione degli interventi a far data dal 2015: al fine di superare le frammentarietà del passato e garantire una nuova programmazione nazionale coerente con il quadro effettivo della pericolosità e del rischio presenti sul territorio la selezione degli interventi da ammettere a finanziamento deve avvenire sulla base di criteri trasparenti che tengano conto anzitutto del quadro più aggiornato della pericolosità, quale emerge dagli strumenti di pianificazione approvati.

Lo Sblocca Italia ha inoltre dettato ulteriori regole di semplificazione amministrativa e di accelerazione delle procedure degli interventi, fondandole sul presupposto dell’“estrema urgenza” (art. 9) applicabile a quegli interventi certificati come indifferibili e funzionali ad esempio alla mitigazione dei rischi idraulici e geomorfologici del territorio, all’adeguamento alla normativa antisismica e alla tutela ambientale e del patrimonio culturale.

Infine norme acceleratorie sono state dettate per la progettazione e realizzazione degli interventi in materia di fognatura e depurazione con la possibilità di attivare la procedura di esercizio del potere sostitutivo fino ad arrivare alla nomina di Commissari straordinari dotati degli stessi poteri e facoltà dei Commissari – Presidenti di regione in materia di rischio idrogeologico.

Nell’ambito di questa nuova e articolata cornice normativa si collocano i provvedimenti attuativi emanati dal Governo nel corso del 2015: nel settore del rischio idrogeologico possono, ad esempio, richiamarsi il d.p.c.m. 28 maggio 2015 con il quale sono stati stabiliti i criteri e le modalità per definire le priorità di attribuzione delle risorse finanziarie agli interventi del settore e il d.p.c.m. 15 settembre 2015 con il quale è stato approvato il primo Piano stralcio Aree Metropolitane ai sensi dell’art. 7 comma 8 dello Sblocca Italia; nel settore idrico l’avvio delle procedure sostitutive e la nomina dei Commissari al fine di accelerare la progettazione e la
realizzazione degli interventi in materia di fognatura e depurazione.

Tutti i provvedimenti, legislativi e attuativi, sopra citati hanno la finalità di dare una soluzione alle criticità ambientali del nostro Paese nella consapevolezza che le emergenze derivanti da calamità naturali sono spesso aggravate da inadempienze di varia natura (tecniche, procedurali, amministrative) a loro volta generate da sovrapposizioni di competenze e da stratificazioni di norme che si pongono in contrasto tra loro.

Se dunque la “ratio” che ha ispirato detti provvedimenti è stata quella di semplificare e di fare chiarezza su competenze, criteri e responsabilità, bisogna tuttavia riconoscere che non sempre la straordinarietà dello strumento prescelto ha di per sé determinato l’efficacia dell’azione amministrativa. Ad esempio non sempre i poteri speciali riconosciuti ai Presidenti di Regione o ai Commissari hanno determinato una accelerazione nella realizzazione delle opere, facendo emergere ulteriori criticità proprie della fase realizzativa degli
interventi, in cui i soggetti attuatori non risultano spesso strutturati per affrontare su vasta scala le molteplici problematiche di natura tecnica amministrativa e procedurale che possano insorgere nella fase di autorizzazione ed esecuzione delle opere. Si tratta di un tema di grande importanza che merita di essere affrontato con decisione. Dinanzi a situazioni di particolare gravità, per far fronte alle quali è magari necessario derogare all’ordinario assetto delle competenze, è necessario che chi intervenga in via sostitutiva abbia tutte le risorse necessarie per adempiere adeguatamente al compito al quale è chiamato. A questo riguardo pare necessario un intervento normativo in grado di farsi carico di queste esigenze.

Autorizzazioni e Valutazioni Ambientali.

Con specifico riguardo alle valutazioni ed alle autorizzazioni ambientali mi preme evidenziare, innanzitutto, l’attenzione prestata in relazione alla semplificazione delle procedure “a regime”.

Sul punto, vorrei innanzi tutto attirare l’attenzione sull’adozione, con d.P.C.M. su proposta del Ministero dell’ambiente, del Modello semplificato e unificato per la richiesta di autorizzazione unica ambientale-AUA. Il Modello Semplificato è stato adottato ai sensi dell’art. 10 del DPR 59/2013 e per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle PMI, e costituisce il punto di riferimento valido a livello nazionale per la richiesta dell’autorizzazione unica ambientale. Le Regioni, molte delle quali nel frattempo hanno adottato propri modelli di AUA, hanno l’obbligo di adeguare le normative regionali di settore al modello nazionale. Fino ad ora, le imprese hanno presentato la domanda usando i moduli predisposti dalle Regioni, ai quali occorreva allegare documenti, dichiarazioni e altre attestazioni previste dalle normative di settore relative agli atti di comunicazione, notifica e autorizzazione ricompresi dall’AUA. Oggi queste domande (ricordiamo che l’AUA può sostituire fino a oltre sette autorizzazioni/ comunicazioni) dovranno essere presentate al Suap (Sportello unico attività produttive) in base al nuovo modello nazionale, fino al suo adeguamento regionale.

E’ inoltre mio intendimento farmi promotore di una riforma delle discipline “a regime” vigenti in materia di valutazione d’impatto ambientale (VIA) e di valutazione ambientale strategica (VAS), allo scopo di semplificare e accelerare le relative procedure. Ciò, ovviamente, non può andare a discapito della qualità delle valutazioni, che devono continuare a svolgersi nel pieno rispetto del quadro normativo europeo. E’ tuttavia possibile semplificare lo stato delle procedure ad oggi vigenti, ad esempio mediante la pubblicazione e la consultazione degli atti e provvedimenti sui siti informatici delle amministrazioni o la razionalizzazione delle tempistiche dei procedimenti. Credo inoltre che sia necessario fornire maggiori certezze giuridiche ai proponenti circa la verifica di assoggettabilità a VIA. Analogamente è possibile procedere con riferimento all’autorizzazione integrata ambientale (AIA), allo scopo sia di semplificare le procedure per il rilascio delle AIA statali e riordinare il riparto di competenze tra Stato e Regioni nella materia, sia di ridefinire i rapporti tra procedure di VIA e AIA statali.

Una riflessione più specifica merita inoltre il tema della semplificazione delle valutazione e delle autorizzazioni ambientali da rendere a seguito di eventi emergenziali.

Deve innanzitutto essere evidenziato come, a diritto vigente, già sussista la possibilità di “esentare” un progetto dalla VIA per gli interventi necessari a far fronte ad emergenze derivanti da calamità naturali. Tale materia, in Italia, è disciplinata in particolare dall’art. 6 del D. Lgs. 152/2006. La normativa nazionale andrà comunque riallineata al diritto comunitario, trasponendo gli obblighi previsti per i casi di esenzione nell’ambito del recepimento della nuova direttiva VIA entro marzo 2017.

Il tema è ovviamente molto delicato, in considerazione dell’alto numero di Ordinanze di Protezione Civile che vengono adottate e del comprensibile rigore con cui la Commissione europea affronta il tema ai fini di eventuali procedure di infrazione.

In virtù di questa considerazione, e ferma restando la possibilità di esenzione dalla VIA per i casi da affrontare con la maggiore urgenza, ritengo che sarebbe possibile provare a delineare normativamente una agile istituzione che abbia il compito specifico di affrontare le valutazioni di impatto ambientale direttamente connesse alla gestione degli stati post-emergenziali. Tale istituzione potrebbe essere configurata quale sezione aggiuntiva della Commissione VIA specializzata in tema di emergenze, o come organismo strutturalmente presente presso ISPRA. Tale strumento consentirebbe di sveltire il procedimento di VIA, posto che la struttura in parola sarebbe dedicata solo ed esclusivamente ad affrontare le valutazioni connesse all’emergenza, e non avrebbe dunque da gestire l’ordinaria amministrazione, senza però rinunciare a valutazioni ambientali pienamente rispettose della normativa interna e comunitaria.

Per l’AIA la situazione è differente. Appare infatti residuale il caso che sia essenziale, al fine di garantire la gestione ottimale di una emergenza, l’“esercizio normale” di una attività produttiva gestita in “unità tecniche permanenti”. Dinanzi alle emergenze vanno piuttosto disciplinate situazioni che si discostano palesemente dal “normale esercizio” su cui pone primariamente l’attenzione l’AIA, e che pertanto possono essere autorizzati come modifiche al regime autorizzato in situazioni transitorie. Per tali autorizzazioni pare legittimo ritenere che non esistono espressi obblighi comunitari (che invece riguardano le modifiche sostanziali) e che quindi l’ordinamento interno possa disciplinare la materia senza vincoli derivanti dal diritto europeo (ammettendo, ad esempio, procedure d’urgenza).

Del tutto diverse, invece, sono le situazioni di criticità cronica, non derivante da eventi straordinari (si veda, ad esempio, ciò che accade in vaste parti del Paese in tema di gestione dei rifiuti). In tali casi non c’è spazio per derogare dagli obblighi comunitari in materia di AIA, ma sarebbe possibile declinarli con procedure più snelle, ad esempio dando potere ad un commissario di istruire la pratica senza avvalersi obbligatoriamente di altri soggetti e senza Conferenza di Servizi [la distribuzione di competenze interna non interessa la UE], garantendo solo la possibilità di partecipazione del pubblico. In tal caso, però, il Commissario si prenderà in toto la responsabilità di fare un provvedimento del tutto compatibile con gli obblighi comunitari.

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