Firmato ieri a New York all’Onu l’accordo sul clima raggiunto a Parigi, con il quale i governi si pongono come obiettivo di lungo termine di contenere il surriscaldamento del pianeta ben al di sotto dei 2 gradi e di mettere in atto tutti gli sforzi possibili per non superare 1.5 gradi, in modo da ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici già in corso sulle comunità vulnerabili dei paesi poveri.
Cosa ne pensano le associazioni ambientaliste?
In una lettera aperta al premier Greenpeace chiede “che alle promesse seguano fatti concreti”.
Nonostante gli impegni presi a livello internazionale, sottolinea Greenpeace, una volta rientrato “a casa” Renzi ha sempre smentito se stesso, perseverando in politiche tutt’altro che attente ai cambiamenti climatici.
“Il Governo infatti non ha soltanto “consolidato” una posizione di retroguardia rispetto al referendum sulle trivelle, ma negli ultimi anni lo sviluppo delle rinnovabili in Italia è stato frenato da provvedimenti che hanno messo in ginocchio l’intero settore.
Il Presidente del Consiglio ha ribadito l’intenzione di voler portare al 50% la quota di energia da fonti rinnovabili entro la fine della legislatura: è un impegno che apprezziamo, e siamo pronti al confronto per capire come il governo intenda raggiungere questo obiettivo.”
Spazio alla speranza: “Oggi più che mai abbiamo bisogno di liberarci progressivamente dalla dipendenza dai combustibili fossili e accelerare la transizione già in corso verso le fonti rinnovabili.Non possiamo perdere il treno della rivoluzione energetica proprio ora che, a livello globale, sta cominciando a dare segnali incoraggianti!
Nel 2015, infatti, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, il 90% della nuova generazione di energia è venuta dalle rinnovabili, mentre i consumi di carbone in Cina stanno diminuendo.”
Le emissioni di CO2 a livello mondiale, fa notare l’associazione, sono rimaste costanti per il secondo anno consecutivo. È il momento di accelerare questa fase di transizione: “se interveniamo ora affinché le emissioni inizino a diminuire rapidamente, potremo raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro la metà del secolo!”
Chiede di più al Governo sulle rinnovabili anche Legambiente: “Per portarle al 50% nella legislatura, l’Esecutivo abbia il coraggio di realizzare provvedimenti mirati su biometano e autoproduzione da fonti rinnovabili e approvi il decreto per le rinnovabili non fotovoltaiche”.
Sulla firma di New York: “La firma (che è cosa diversa dalla ratificazione) andrebbe accompagnata col deposito dello strumento di ratificazione, ma è comunque un passo legalmente vincolante, in quanto impegna a non intraprendere attività contrarie all’accordo.”
“Il Premier ha dichiarato di voler investire di più e meglio sull’eolico e l’idrico, e soprattutto di voler raggiungere il 50% di produzione di energia da fonti rinnovabili entro la fine della legislatura – commenta Rossella Muroni, presidente di Legambiente – Un obiettivo importante e a nostro avviso realizzabile in tempi brevi, per questo Legambiente rilancia al Governo le sue tre proposte per incentivare le rinnovabili nel Paese: intervenire con provvedimenti mirati sul biometano e sull’autoproduzione da fonti rinnovabili, e approvare il decreto di incentivo per le rinnovabili non fotovoltaiche. In questo modo si potrebbero superare quelle barriere che oggi impediscono il pieno sviluppo delle energie pulite.
È ora che il Governo Renzi dimostri concretamente e chiaramente quale politica energetica intende adottare, e scelga se sostenere veramente la conversione verso un’economia low carbon o rimanere inchiodato alle fonti fossili. Ci sono in Italia tante eccellenze da supportare – prosegue la presidente di Legambiente – per far crescere un’economia ‘nuova’ e sostenibile, coniugando da subito ambiente e lavoro. Dal fotovoltaico, settore in cui il nostro Paese è leader (in testa alla lista della quota elettrica coperta dall’energia solare, con una percentuale dell’8%, secondo gli ultimi dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia) ma che è stato affossato dalle politiche del governo. Alla produzione di biometano, che ha un potenziale di produzione nazionale di 8 miliardi di metri cubi, ossia 4 volte tanto quello del metano estratto dalle piattaforme oggetto del referendum del 17 aprile, ma che non può essere immesso in rete per assenza di normativa. Puntare sull’innovazione tecnologica e sulla bioeconomia, rappresenta, da subito, una grande sfida per il rilancio economico dell’Italia e dell’Europa e per il conseguimento degli accordi sul clima”.
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