35 navi contro l’inquinamento. Sono quelle che costituiscono la rete di pronto intervento che il ministero dell’Ambiente schiera in difesa dei 7.500 chilometri di costa italiana con il nuovo contratto firmato con Castalia, il consorzio che fornisce il servizio. La flotta è sempre pronta a salpare in pochi istanti dall’allarme diramato dalle Capitanerie di porto, che presidiano e controllano il mare, ma in caso di richiesta può collaborare anche per difendere i mari di altri Paesi, com’è accaduto anche in passato.
9 navi d’altura e 26 navi costiere, più diversi battelli minori e di servizio, collocate nei principali porti italiani, negli scali a maggiore rischio di inquinamento e in prossimità delle zone di mare più delicate dal punto di vista ambientale, come le riserve e le aree protette.
Le basi di pronto intervento sono Imperia, Genova, La Spezia, Livorno, Piombino, Porto Santo Stefano, Civitavecchia, Gaeta, Salerno, Cetraro, Vibo, Messina, Sant’Agata di Militello, Termini Imerese, Trapani, Sciacca, Licata, Pozzallo, Augusta, Porto Torres, Golfo Aranci, Arbatax, Cagliari, Oristano, Crotone, Corigliano, Gallipoli, Otranto, Bari, Termoli, Giulianova, Ancona, Ravenna, Chioggia e Trieste. Inoltre la rete di pronto intervento ha una scorta di attrezzature negli 8 depositi a terra: a Civitavecchia, Genova, Napoli, Messina, Bari, Ravenna, Venezia e Cagliari.
Le unità – alle quali si aggiungono i battelli antinquinamento dei maggiori porti e i servizi privati di alcuni gruppi industriali – sono dotate di moderne tecnologie, come speciali radar per individuare le macchie di inquinante sulla superficie del mare, algoritmi di calcolo e modelli di diffusione delle sostanze, dispositivi di assorbimento.
Il sistema di difesa del mare si basa sul “Piano operativo di pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti accidentali da idrocarburi e da altre sostanze nocive” approvato in gennaio.
Le strategie di intervento hanno alcuni princìpi di base: trattare la maggior parte dell’inquinamento al largo e il più rapidamente possibile, arrestare l’espansione dello sversamento, difendere soprattutto le coste e le aree sensibili.
Per contenere l’espansione dell’inquinamento vengono impiegati metodi di contenimento (barriere galleggianti), di raccolta e aspirazione.
Quando i metodi meccanici non bastano si può ricorrere, ma con estrema parsimonia, anche a prodotti ad azione assorbente o disperdente. La scelta dipende da diversi fattori che vengono valutati caso per caso dalle Capitanerie di porto e dal ministero dell’Ambiente.
La tipologia principale di inquinamento delle coste e dei fondali è quella da greggio e carburanti raffinati, causato essenzialmente dal traffico petrolifero e dagli scarichi industriali. Gli incidenti più diffusi sono la collisione, l’incendio, l’incaglio, avarie a infrastrutture petrolifere.
La rete di unità impegnate nella lotta del ministero contro l’inquinamento del mare è stata presentata nei giorni scorsi al ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, con un’esercitazione nelle acque di Civitavecchia (Roma) in cui le navi Bonassola, Tito, Tirreno, Ecogiglio e Ievoleco hanno simulato il controllo, l’isolamento e la raccolta di sostanze pericolose cadute in mare.
“Uno strumento importante a favore del nostro Paese – ha sottolineato il ministro – che ci pone all’avanguardia a livello internazionale e che nelle scorse settimane ci ha permesso di bloccare tempestivamente casi gravi di inquinamento, come quello avvenuto a fine luglio nel porto di Salerno”.